Da alcuni anni la narrazione cinematografica è entrata in una fase nuova: dopo l’epoca dei generi e quella degli autori, ecco il predominio del format. I meccanismi della serialità tendono a rinviare sine die il momento catartico della risoluzione, con conseguenze profonde su quella che Ferrario chiama “l’antropologia dello spettatore”. Immersi in un flusso senza fine in cui ogni scioglimento è solo temporaneo, ci ritroviamo privi delle partizioni che “davano un senso al tempo come fatto sociale”: incapaci di immaginare la finalità – tanto meno l’utopia. In dialogo con lui Andrea Zanni, giornalista culturale.
Il fotogramma infinito / Salvare il finale
Davide Ferrari
Nato nel 1956 a Casalmaggiore, è laureato in letteratura americana e vive a Torino. Lavora nel cinema dagli anni ‘70, dapprima come critico cinematografico e saggista, poi come distributore. Debutta alla regia nel 1989 con La fine della notte. Dirige sia opere di finzione che documentari, presentati in numerosi festival internazionali, da Berlino al Sundance, da Venezia a Toronto a Locarno. Tra gli altri: Tutti giù per terra, Figli di Annibale, Guardami, Dopo mezzanotte, Tutta colpa di Giuda, La luna su Torino e i lavori realizzati con Marco Paolini. Ha scritto i romanzi Dissolvenza al nero (Sperling & Kupfer 2004) e Sangue mio (Feltrinelli 2010). Collabora con il Corriere della Sera.
Andrea Zanni
Laureato in matematica, è bibliotecario digitale per MLOL. Collabora con giornali e riviste come Domani e Il Tascabile. Ha partecipato all’antologia The Game Unplugged (Einaudi Stile Libero 2019). È docente alla Scuola Holden e gestisce i social per Adelphi. A lungo coinvolto nei progetti wiki, è stato presidente dell’associazione Wikimedia Italia.