In occasione dell’uscita in libreria di Quasi niente sbagliato (Bollati Boringhieri 2023, vincitore della menzione speciale della giuria del Premio Italo Calvino 2022), abbiamo chiesto a Greta Pavan, che a Belleville ha frequentato il corso “I mestieri del libro”, di rispondere ad alcune domande sul suo romanzo d’esordio.
1. In Quasi niente sbagliato il racconto dell’infanzia e giovinezza di Margherita, la protagonista, è affidato a una successione non cronologica di episodi accaduti tra il 1996 e il 2012. Quali difficoltà hai incontrato nell’adottare un impianto narrativo frammentario e dis-ordinato? E quali “vantaggi” ne hai tratto?
Ogni forma di narrazione richiede un lavoro di selezione e ordinamento che, una volta considerato nel suo complesso, costruisce un arco di senso che prima non c’era. Io vorrei condividere questo processo con il lettore: presento i fatti, ma per quanto possibile rinuncio a un arco narrativo che metta in diretto rapporto cause ed effetti. Al lettore lascio unire i punti, interpretare gli eventi e, se lo ritiene, riempire i silenzi. È una scelta che risponde a un’istanza tematica, perché Quasi niente sbagliato racconta le conseguenze di alcune violenze casuali, trascurabili e quindi trascurate, agite e subite con indifferenza, non di traumi scenografici e grandi eventi scatenanti; ma una struttura scomposta è anche un tentativo, almeno formale, di avvicinarmi alla mia idea di letteratura: un luogo di domande e non di risposte. Su vantaggi e svantaggi: la brevità e la compattezza possono aiutare a esasperare la tensione narrativa e a enfatizzare il taglio drammaturgico degli episodi, ma pongono delle sfide rispetto al montaggio dei capitoli e alla tenuta della voce della protagonista.
2. La narrazione è costellata da descrizioni – in parte romanzate, come dichiari in esergo – della provincia brianzola, della quale sottolinei la vocazione alla produttività e all’utilitarismo da un lato e la diffidenza nei confronti della metropoli dall’altro. Come hai lavorato alla caratterizzazione di questo ambiente e che ruolo riveste all’interno del romanzo?
La Brianza è una questione di lavoro. La storia, le caratteristiche sociologiche, i valori, il linguaggio e i paesaggi della Brianza sono determinati, in qualche misura, dalla sua spinta produttiva e manifatturiera, che ancora oggi è una delle più forti in Europa. Rimane un’enclave unica, anche in un paese di tradizione micro-imprenditoriale come l’Italia, per quanto riguarda la simbiosi tra la gestione delle aziende, dei territori e delle relazioni umane. Quindi non potevo che partire da qui per riflettere su ciò che mi interessava: il rapporto tra individuo e ambiente e il lavoro come osservatorio sulle dinamiche di potere. Per questo la Brianza del romanzo è un paesaggio profondamente antropizzato; esiste anche una Brianza di grandi parchi, boschi e ville di delizia, io però ho scelto quella dei capannoni macchiati di umidità, dei centri commerciali, del cemento, della ruggine. Sono andata alla ricerca del brutto, dei luoghi in cui la natura e la bellezza sono assoggettate alla comodità. Mi sono concentrata anche sulla transitorietà: la Brianza del romanzo non è mai un posto in cui stare, ma è sempre un luogo di passaggio, quindi di grandi arterie autostradali, rotonde, stazioni, ponti, binari. Una traduzione estetica della difficoltà di trovare un’identità anche politica e culturale.
3. Pur nella loro diversità, i personaggi che circondano la protagonista sono accumunati dalla medesima forma mentis: tutto ruota intorno al lavoro; avere un’occupazione stabile sembra la miglior garanzia di felicità; chi non lavora e non produce, invece, è guardato con sospetto. Quali temi ti interessava esplorare attraverso la rappresentazione di questa mentalità? E di quali istanze è portatrice Margherita?
In un contesto di personaggi ambivalenti, che nello stesso tempo sono vittime e aguzzini, anche di loro stessi, Margherita è forse la più ambigua. A differenza degli altri personaggi, Margherita percepisce la possibilità di sottrarsi alla pressione delle aspettative e al culto della performance; è una possibilità che, con l’ingenuità di chi osserva le cose da fuori, attribuisce a Milano e al giornalismo, elementi che carica di idealismo romantico. Ma percepire la possibilità di un’alternativa, percepirla e basta senza davvero poterla afferrare, è la sua condanna: Margherita è quindi una protagonista scissa tra il bisogno di appartenenza e il rifiuto di lasciarsi assimilare.
4. Quali modelli o punti di riferimento letterari puoi citare per Quasi niente sbagliato?
Tra i romanzi cito Il tempo materiale: una storia per tanti versi distante da quella che racconto io, a partire da ambientazioni e contesto, ma la scrittura di Giorgio Vasta è stata un riferimento di libertà, in particolare per quanto riguarda la furia e la spietatezza, anche linguistica, dei suoi personaggi bambini. Altro faro, limitandomi ai contemporanei, è Giorgio Falco, che a mio avviso è innanzitutto uno scrittore della solitudine. Per quanto riguarda la scrittura, a prescindere dai temi di questo romanzo, attualmente trovo di grande ispirazione gli sguardi visionari e insieme intransigenti dell’Europa orientale: Ágota Kristóf, Madga Szabó, Olga Tokarczuk.