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Giorgio Manganelli
>> Centuria
Adelphi
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“Cento romanzi fiume, ma così lavorati in modi anamorfici, da apparire al lettore frettoloso testi di poche e scarne righe” – così Giorgio Manganelli definiva i racconti/romanzi (lo statuto rimane incerto) di Centuria (1979), scritti di una pagina e mezza ciascuno, senza titolo e numerati progressivamente da 1 a 100. La lingua è ricca di soluzioni a un tempo originali e tradizionali e frequenti sono gli espedienti virtuosi e barocchi. Gli amori, funambolici anch’essi, sono rivolti (centurie 56 e 70) a donne nude viste sulle riviste pornografiche, a signore incontrate sull’autobus, a donne vissute due secoli prima e due secoli dopo rispetto all’innamorato. Come in un mazzo di tarocchi le figure che vi si incontrano vengono ricombinate e risemantizzate a ogni lettura, così i protagonisti delle centurie si combinano e danno luogo a nuovi grumi narrativi fantastici, fantasmatici e allucinatori. E’ illuminando in sequenza le figure che incontriamo nel libro – una donna che partorisce una sfera, una fata che prende il treno sbagliato, ladri d’universi e angeli dell’apocalisse – che si evince quanto sia straniante il narrare di Manganelli e quanto strenua sia la sua battaglia contro il realismo. Anna Longoni in Giorgio Manganelli o l’inutile necessità della letteratura osserva quanto la pagina manganelliana a tratti infastidisca e imbarazzi, perché certe parole parlano ma non dicono. Eppure, sostiene, dalla lettura “non si esce mai uguali a come si è entrati, perché, di certo, un risultato lo ottengono: quello di costringere a spostare il proprio punto di vista sulla realta. E’ come trovarsi di fronte a una pittura realizzata con la tecnica dell’anamorfosi: la visione frontale offre un’immagine distorta, che diventa leggibile purché si cambi posizione”.
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