Partiamo dalla tecnica, poi vedremo le «condizioni preliminari».
Avete appena creato il file word del vostro romanzo.
L’avete già battezzato col titolo di lavoro, un bel il_mio_romanzo.docx o anche un più modesto romanzo.docx.
Siete a posto, direi, tranne quelli che hanno salvato una roba del genere:
l’insostenibile_leggerezza_dei_numeri_irrazionali_non_periodici.docx.
Se avete salvato una roba del genere, lasciate stare.
Tutti gli altri al punto due.
Avete creato e battezzato il file word del vostro romanzo. Bene, adesso non rimane che scriverlo.
Portate le dita alla tastiera, corrucciate quel tanto l’espressione.
Cercate di non pensare a Tolstoj, non tirate i bicipiti, non distraetevi – non adesso.
Vietato tremare. Siete voi, i padroni. L’albagine piatta e sconfinata che splende davanti ai vostri occhi vi appartiene. Non cercate di prendere tempo sistemando i margini e impostando il carattere, è segno di poco carattere.
Seguite il mio monito, e tornate al monitor.
Sollevate la mano.
Se vi siete chiesti quale mano, lasciate stare. Questo genere di sottigliezza è nemica del romanzo.
«Rubò l’acciarino con la mano destra».
«Con la mano sinistra trasse dalla tasca un pacchetto di Nazionali».
«Lo prese a calci nel culo col piede destro».
Ripeto: non questo tipo di sottigliezza.
Sollevate dunque la mano. Dirigetela con una certa solennità verso la tastiera. Avete in mente la frase? Sì? Allora è il momento di un break.
Andate in cucina e preparate un aspic, un cupcake, una torta salata.
È venuta bene? Rimanete in cucina e abbandonate per sempre la vocazione letteraria.
Non è venuta bene? Ritentate fino al raggiungimento della perfezione.
A questo punto vi prenderà il sospetto che qualcuno stia tentando di scoraggiarvi.
Seguite ancora una volta il mio consiglio: scoraggiatevi.
Well. Non vi siete persi d’animo e con un rigurgito di stizza, o di vera immodestia, siete tornati al computer. Non ve ne frega nulla dei margini.
Allora potete iniziare a scrivere.
Che dite? Il carattere standard impostato sul vostro sistema è Mistral?
Lasciate stare, siete dei creativi. È pieno di creativi, là fuori. Unitevi a loro. Intrecciate un cestino, pitturate un armadio, decorate un sottoscala. Se proprio dovete scrivere, buttate giù un paio di haiku. Insomma, fate queste cose qui, cose da creativi.
Okkei. Siete al computer e il carattere di default è un affidabile Times New Roman. Già solo per questo vi ammiro. Voialtri della vecchia guardia. Potete proseguire, ci siamo.
Le vostre dita stanno per aggredire il reticolo di simboli alfabetici.
Sentite il sacro fuoco dell’arte che scorre lungo le falangi?
Se sentite il sacro fuoco dell’arte che scorre lungo le falangi, lasciate stare. Anche la letteratura possiede una sua fuorviante mitologia: il sacro fuoco dell’arte, l’elisir di lunga scrittura, il pozzo delle similitudini.
Come no.
La pignatta colma di metafore alla fine dell’arcobaleno.
La mitologia della letteratura vi porterà dritti a un tramonto struggente, delicate brezze autunnali, un languido personaggio affacciato alla finestra. Chissà perché quando un autore non sa che farsene di un personaggio lo spedisce inesorabilmente a quella finestra. Boicottate la fottuta finestra. No, cazzo. Alla finestra non ci vado. Fammi schiattare adesso, ma non mi vedrai percorrere un solo passo verso la maledetta finestra. È pesante, la finestra. È uno stratagemma puerile – tolti certi clamorosi affacci stendhaliani. Pertanto, non passate per la finestra. Avvicinatevi alla tastiera, invece, con la destrezza felpata di un ninja. Partite dal sottosuolo. C’è parecchia roba che brulica, nel sottosuolo. Nel sottosuolo della lingua, nel sottosuolo della retorica. Concedetevi un guizzo. Immaginate di essere uno schermo al plasma sodomizzato da una saldatrice, e iniziate a scrivere.
Ed eccoci alle condizioni preliminari.
Prendete la vita sul serio e soprattutto voi stessi? Ritenete di possedere un’opinione intelligente su qualsiasi argomento e considerate inalienabile il diritto di esprimerla ovunque e a scapito di chiunque? Vi capita di trasfigurarvi nel prezzemolo? Vi riesce facile immaginarvi nell’atto di incarnare o rappresentare un’epoca? Sentite di appartenere o in qualche modo provenire dall’asse Gioventù Cannibale / TQ / Pavoni? E il peso dello Zeitgeist nei vostri paragrafi, quello lo sentite? Se conio un neologismo come «brizzibazzi» per dire brividi, avvertite i brividi? Siete sulla buona strada.
Quando dico «il grande scrittore A.B.» pensate a Busi o a Baricco? Con questa dovete cavarvela da soli.
La misura standard della vostra frase tipo contiene meno di sei parole? E il fatto che la misura standard della vostra frase tipo contenga meno di sei parole vi restituisce un senso di incredibile energia? La misura standard della vostra frase tipo rispecchia e/o racconta una condizione ontologica lgbtq+ e/o un disagio/disastro sociale e/o l’imperativo monologico di una qualsiasi minoranza? La misura standard della vostra frase tipo conta sensibilmente meno della notazione cinematografica/televisiva/internettiana in base a cui l’avete scritta?
Vi piace/piacerebbe/è piaciuto apparire in tivvù?
Frequentate con reciproca soddisfazione uno o più editor? Squittite garruli su Instagram all’uscita di un nuovo libro di narrativa postandone la foto e stralci dalle pagine? Googlate quotidianamente il vostro nome e/o impostate il relativo alert? Avete mai scritto una pagina in preda ai brizzibazzi dell’emulazione? Vi preoccupate con sconvolgente prudenza dell’inclusività del vostro italiano?
E per finire, un test.
Il brano seguente:
Due deficientə gesticolano apotropaicə, credono di.
è
pipernista
missirolista
murgista
tutt’e tre
un astuto pastiche
composto da sei parole