Disegni in cerca d’autore è il Premio letterario nato dalla collaborazione tra Collezione Ramo e Scuola di scrittura Belleville, legato all’omonima mostra che si terrà negli spazi della Scuola Belleville a Milano. Opere su carta di grandi artisti affiancate da racconti inediti: immagini e parole entrano in dialogo.
La danza del mostro di Irene Doda è il racconto scelto per accompagnare l’opera di Alighiero Boetti, Senza titolo,1965.
Irina Zucca Alessandrelli, curatrice della mostra, sull’opera:
«Del 1965 è la china acquarellata di Alighiero Boetti, di elegante chiarezza compositiva, risalente al periodo torinese prima della sua partenza per Roma nel 1972. Il microfono e la tastiera fanno parte di una serie di carte in bianco e nero dedicata alla fascinazione per il nuovo oggetto domestico tecnologico dall’accurato rigore compositivo.»
Una sera, mentre cercavano un vecchio catalogo, mamma e zia Edita trovarono delle cassette in camera di papà. Nessuno ci entrava da anni, da quando era morto, alla fine del 2009. Si era tagliato le vene con un rasoio, come nei film. Mi è sempre sembrato un po’ buffo che un imprenditore cattivo si uccida come le ragazzine dei teen drama. Poteva almeno spararsi in testa come quelli di Tangentopoli. No?
La banca aveva chiuso il credito alla ditta. Papà faceva penne stilografiche. Il suo lavoro e poi la sua vita erano stati spazzati via da quell’onda nera che nel 2008 venne dagli Stati Uniti insieme a un mucchio di parole inglesi che non capivamo (subprime). Le strette sulla liquidità, le ristrutturazioni aziendali e tutta quella brava gente di classe media che un minuto prima firmava per le rate della BMW e subito dopo si chiedeva se non fosse il caso, solo per questo mese, di pagare il mutuo con la cassa integrazione e andare alla Caritas a chiedere due pacchi di pasta. L’azienda di papà aveva cinquanta dipendenti; i primi a essere licenziati furono gli amministrativi, gli operai vennero dopo, verso la fine. Ma già qualcuno, a Ferragosto, aveva scritto sul muro di casa nostra «Morgagni assassino».
Andavo a scuola con alcuni figli di ex dipendenti di papà. Fui io a smettere di parlare con loro, e non per vergogna, quanto per senso di giustizia. Ero la figlia del mostro: a posto così. Cinquanta licenziamenti in un paese di tremila abitanti non erano pochi, e il mio compito era di portarne il peso. Smisi di avere amici. Avrei ripagato quelle famiglie sul lastrico con la moneta della mia solitudine. A quindici anni si ha bisogno di un posto del mondo: io sarei rimasta per espiare le colpe di mio padre.
La mamma dunque trovò quelle cassette. Scese in cucina e le posò sul tavolo. La zia Edita andò a prendere il vecchio mangianastri. Forse era una confessione, il culmine di tutti quegli anni di silenzio in cui il fantasma della vecchia Morgagni&soci incombeva su chi dal paese non se n’era ancora andato. Quando i nastri iniziarono a girare però sentimmo della musica. I was sick and tired of everything, when I called you last night from Glasgow… Era la voce di papà. La nostra cucina si riempì di lui che cantava, dolcemente stonato, le greatest hits degli ABBA. Le cassette avevano una data: 29 novembre 2009. Papà era morto il 2 dicembre.
Ecco cosa aveva fatto il mostro con gli ultimi giorni della sua vita. Aveva registrato una compilation degli ABBA. Me lo immagino nel suo studio, che invece di sistemare i conti, canta nel microfono del registratore. Forse aveva già accanto la lametta con cui sarebbe morto. Di sicuro aveva già quella scritta sotto casa. Ma in quel momento doveva azzeccare la nota alta di Mamma Mia. Me lo figuro così mentre guido in tangenziale, la macchina carica di bagagli. Ho le cassette con me nell’abitacolo. Sto lasciando il paese e i suoi mostri, mentre il mio canta a squarciagola sul sedile posteriore.