Manca pochissimo alla “Venticinquesimaora.”: sabato 30 novembre alle 23 la traccia del premio sarà pubblicata qui sul sito e sulla pagina FB di Belleville. Nell’attesa, ecco il “Corso breve sul racconto breve” dello scrittore Luca Ricci, un compendio sull’arte di scrivere racconti.
Premessa
Il racconto è anche tutto ciò che non è un romanzo.
Lo sforzo che richiede un romanzo è di farsi leggere, quello che richiede un racconto è di farsi rileggere.
Il romanzo è una somma, il racconto una sottrazione.
Il romanzo inizia per continuare, il racconto per finire.
Il romanzo cerca analisi, il racconto epifanie.
Un romanzo è fatto di racconti, un racconto non è fatto di romanzi.
Chi scrive romanzi deve rinunciare alla perfezione in partenza, chi scrive racconti può illudersi.
Quanti mutamenti ha subito la forma romanzo! Il racconto invece è una sperimentazione stabile.
Dei romanzi spesso si dice che i loro autori conoscono l’inizio e la fine, e nel mezzo si divertono a scrivere. Nei racconti non c’è spazio per questo tipo di divertimento.
Sia il romanzo che il racconto sono una sintesi del mondo, ma la prima è una sintesi realistica e figurativa, la seconda antinaturalistica e astratta.
Se è insopportabile la mancanza di una storia in un romanzo, in una narrazione di tre pagine sarebbe imperdonabile.
Un racconto si rilegge meglio di un romanzo. Non deve soltanto essere perfetto, deve continuare a essere perfetto.
Luoghi comuni (1): dall’autore di racconti ci si aspetta sempre il grande passo, la prova di maturità.
Luoghi comuni (2): lo scrittore scrive racconti per tirare il fiato tra un romanzo e l’altro.
Il racconto è più vicino alla poesia che al romanzo.
I racconti hanno meno righe inertidei romanzi. Raramente si lascia a metà un racconto.
In un romanzo la trama è tutto, in un racconto tutto è trama.
Un romanzo è riuscito se suscita un dibattito. Un racconto se lascia senza parole.
Non è quasi mai possibile che un racconto se ne infischi dello stile e punti tutto sull’intreccio.
Un romanzo funziona durante la lettura, un racconto dopo che è stato letto.
In un romanzo un errore si può confondere in una selva di parole, in un racconto no.
Una differenza sostanziale tra racconto e romanzo è determinata dalla paginazione. Non esistono racconti di cinquecento pagine né romanzi di una.
Morfologia
Raymond Carver ha detto che un racconto è una “foto in movimento”. Si occupa di un segmento, ma veicolando una storia deve essere mosso.
Se la scrittura è una rappresentazione sintetica della realtà, il racconto – volendo adoperare sempre il minor numero possibile di parole per arrivare al punto – è la summa di quest’arte.
La prima parola di un racconto deve disporre un piano inclinato.
Breve è un aggettivo spesso associato al racconto. Implica una mancanza di spazio (per chi scrive) e tempo (per chi legge).
Breve ma non rapido, veloce ma non superficiale, ellittico ma non criptico. Il racconto è una forma particolare di equilibrismo.
La durata del racconto è breve, ma il tempo del racconto può racchiudere in tre paginette la storia dell’umanità.
La buona riuscita di un racconto sta nei pieni quanto nei vuoti, in ciò che scriviamo e in ciò che non scriviamo, in ciò che includiamo nel quadro e in ciò che estromettiamo.
Le descrizioni in un racconto non sono mai semplicemente referenziali. Lo scrittore di racconti non può perdere tempo.
Alcuni racconti durano pressappoco quanto Gustave Flaubert impiega a descrivere il cappello di Charles Bovary.
In un racconto raramente i personaggi sono memorabili, nel senso d’indimenticabili quanto a tratti: memorabili saranno le loro azioni (e in un racconto ogni cosa è azione).
I personaggi non devono fare tutto e il contrario di tutto, ma dare l’idea di poter fare tutto e il contrario di tutto.
Il dialogo in un racconto deve essere sempre il riassunto di un dialogo. Deve essere verticale, scosceso.
Nei racconti possono esserci molti dialoghi ma nessuna conversazione. Non si ciarla, nei racconti. I dialoghi servono per avvicinarsi al finale.
L’intreccio di un racconto può essere semplice, il che non significa facile.
Il finale di un racconto non deve necessariamente risolvere, non deve per forza finire. Deve produrre un’eco che è la nostalgia per il racconto stesso.
Maestri
La costruzione a cornice è un racconto nel racconto, da qui la manifesta prerogativa del racconto di riflettere sulla letteratura: il Decameron di Giovanni Boccaccio.
Il racconto non si occupa della realtà. Si occupa della capacità dell’uomo di tradurre la realtà in simboli. Il naso di Nikolaj Gogol’.
La quantità d’informazioni negate costruisce il racconto quanto le informazioni fornite: Il cuore rivelatore di Edgar Allan Poe.
Cosa ne sappiamo del prima e del dopo dei personaggi di Colline come elefanti bianchi di Ernest Hemingway? Nulla, ed è per questo che il racconto funziona.
A Silvio D’Arzo dissero, con intento denigratorio, che i suoi racconti avevano il «fiato di un passerotto». A me è sempre sembrato uno dei più straordinari complimenti possibili per un libro di racconti.
Quante volte ho riletto il racconto La notte di Guy de Maupassant? Potrei mettermi a canticchiarlo sotto la doccia come si fa con le canzoni da juke-box.
Un racconto prima di ogni cosa deve dare l’esperienza della letteratura: L’Aleph di Jorge Luis Borges.
Casa occupata di Julio Cortázar è uno straordinario racconto di fantasmi perché fa a meno del terrore. Lo scrittore di racconti è un fanatico dell’abrogazione.
Sono ottimi quei racconti che mai e poi mai potrebbero diventare romanzi: Il pallone di Donald Barthelme.
I racconti alleggeriscono anche gli scrittori più divinamente pesanti: Lo sciupone di Alberto Moravia.
Un giorno ideale per i pescibanana di Salinger non è solo un racconto ambiguo. È un saggio letterario sull’ambiguità.
Dino Buzzati – come tutti i grandi scrittori del Fantastico – prende alla lettera delle metafore: Qualcosa era successo.
I Sillabari di Goffredo Parise, tra le altre cose, rammentano che i racconti servono per ripassare le cose fondamentali dell’umano.
Un libro di racconti dovrebbe essere morfologicamente modulare, o non essere: Marcovaldo di Italo Calvino.
Inizio e fine in un racconto sono elementi troppo ravvicinati per potersi ignorare a vicenda. Come disse Alberto Savinio: “L’unico scopo dei racconti di Maupassant è finire”.
Conclusione
Il racconto è un modo sprovvisto di teoria perché è la sorgente di tutte le storie possibili.
Lo scrittore di racconti brevi, per paradosso, attua un’esagerazione. L’esagerazione della diminuzione.
Le parole che maneggia uno scrittore di racconti sono tutte decisive.
Nell’estromissione più che nel dispiegamento sta la maestria di uno scrittore di racconti.
Vedere solo una porzione di realtà. Questo il talento – molto simile a una tara – di uno scrittore di racconti.
Il racconto non ce la fa ad essere onnicomprensivo. Non è che non vuole, non può.
Un racconto-mondo sarebbe una contraddizione in termini.
Per alcuni la saggezza è epigrammatica. Il che porrebbe su un piano spirituale differente scrittori di racconti e romanzieri.