Quello tra il traduttore e il testo su cui lavora è un rapporto totalizzante, fatto di slanci amorosi e di rovelli ossessionanti, di epifanie improvvise e di tentativi ripetuti e laboriosi. A raccontare le discese ardite (e le risalite) del loro mestiere sono i traduttori stessi, nei quattro brevi brani che abbiamo scelto per voi.
Buona lettura!
“Sentii subito che in qualche modo il libro cercava di coinvolgermi nei suoi problemi, mi tirava per il lembo della giacca, mi chiedeva di non abbandonarlo alla sua sorte, e nello stesso tempo mi lanciava una sfida, mi provocava a un duello tutto finte e colpi di sorpresa. Fu così che mi decisi a provare.”
Italo Calvino sulla traduzione di I fiori blu, Raymond Queneau (1967)
“Tradurre significa appiccicarsi e avvinghiarsi ad ogni parola e scrutarne il senso. Seguire passo passo e fedelmente la struttura e le articolazioni delle frasi. Essere come insetti su una foglia o come formiche su un sentiero. Ma intanto tenere gli occhi alzati a contemplare l’intiero paesaggio, come dalla cima di una collina. Muoversi molto adagio, ma anche molto in fretta, perché in tanta lentezza è e deve essere presente anche l’impulso a divorare la strada.”
Natalia Ginzburg sulla traduzione di Signora Bovary, Gustave Flaubert (1993)
“Nella lingua italiana non esiste, nemmeno per approssimazione, il corrispondente di “wild”. C’è l’aggettivo “selvaggio”, naturalmente, ma nel titolo di London “wild” è sostantivato. [… Benché inadeguata, la metafora della foresta non è del tutto arbitraria. È vero che la locuzione “call of the forest” non compare mai nel testo: tuttavia nell’ultimo capitolo leggiamo che quel richiamo giungeva a Buck “from the forest”, e che egli lo sentiva “into the forest”. La foresta è dunque il contesto, il cui senso profondo sono coloro che emettono quel richiamo: i lupi.”
Michele Mari sulla traduzione di Il richiamo della foresta, Jack London (2015)
“L’Ulisse è la trama di una tela vista in simultanea nel recto, nel verso, alla luce ultravioletta, a luce radente, e così via; tela che ha per telaio, che possiede per impianto portante, le due assi verticale-orizzontale delle due parole di apertura, “Stately” e “plump” (in questa traduzione “Sontuoso” e “polputo”), vale a dire l’alto/basso, il drammatico/comico, l’eroico/farsesco del sopra/sotto umano.”
Alessandro Ceni sulla traduzione di Ulisse, James Joyce (2021)
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