Nel 2010, ispirandosi al libro di Elmore Leonard 10 Rules for Writing (Dieci regole di scrittura, pubblicato da Weidenfeld & Nicholson), il Guardian chiese a una serie di autori, fra cui Margaret Atwood, Jonathan Franzen, Neil Gaiman, Joyce Carol Oates, di condividere i loro consigli di scrittura, ricavandone una lunga e interessante lista (che potete trovare qui e qui).
Per la rubrica Consigli di scrittura2, abbiamo chiesto a Gaia Manzini, Antonella Lattanzi e Giorgio Fontana, docenti delle classi Fondamenti del corso serale di scrittura Scrivere di notte, di commentare, certificare o confutare alcuni consigli tratti da quella lista.
Gaia Manzini
Non cominciare mai un libro parlando del tempo atmosferico.
(Elmore Leonard)
Non sarei così netta. Jonathan Franzen inizia spesso i suoi romanzi con un vento gelido che sta lì ad annunciare l’arrivo di un cambiamento. E ancora, Cheever nell’incipit del Nuotatore parla di una giornata di mezza estate e poi quella giornata la riprende, con accenni di cielo sereno, di sole, di poche nuvole all’orizzonte. Se il tempo atmosferico è una divagazione, un modo per riempire la pagina in assenza di cose sostanziali da dire, allora ha ragione Elmore Leonard. Parlare del tempo, si suggeriva in passato: è il rituale che in una conversazione consente di aggirare il ben più imbarazzante silenzio, o la discussione intorno a temi divisivi. La letteratura però non è un salotto, le cose da dire devono essere sostanziali. Se il tempo atmosferico aiuta a esprimere in modo simbolico qualcosa intorno ai personaggi e alla storia che si vuole raccontare, allora usarlo funziona anche all’inizio della storia. Sarà un modo di dire, o suggerire, qualcosa senza farlo in modo frontale. La giornata di mezza estate di Cheever è come il protagonista del Nuotatore. Man mano che la storia andrà avanti il tempo atmosferico cambierà drasticamente, così come il personaggio che – pagina dopo pagina – prenderà coscienza della propria sconfitta esistenziale.
Antonella Lattanzi
Mantieni alta l’attenzione del lettore. (In genere, funziona meglio se sei in grado di mantere la tua.)
(Margaret Atwood)
Quando scrivi sii sincero. Il che non vuol dire scrivere per forza di cose realmente accadute o, più in generale, scrivere la verità. Vuol dire scrivere sinceramente proprio quello che vuoi scrivere, proprio quello che senti di voler scrivere. Senza pudori, senza riserve, senza moralità. Ma pure senza calcoli – sul mercato, sul successo, sul pubblico. E senza rispetto – perché ci sarà sempre una voce che ti dice: se scrivi questo o quest’altro, qualcuno che conosci si offenderà. Scrivi come se non ci fossero madri, padri, fidanzati, mariti, mogli, figli. L’attenzione – la tua e quella dei lettori – nasce da qui. Da questa sincerità che ti aiuterà a essere unico.
Mantenere alta l’attenzione vuol dire anche essere sempre molto severi con sé stessi. Quando rileggi ciò che hai scritto, sii severo con te come lo sei con gli altri scrittori che leggi, di cui abbandoni i libri se non ti piacciono, di cui salti i capitoli se non ti interessano. Se un pezzo del libro o dal racconto, rileggendolo, annoia te; immagina quanto potrà annoiare il lettore. Se un pezzo del racconto o del romanzo non convince te; immagina quanto potrà convincere il lettore. Taglia. Riscrivi. Butta. Ricomincia. Non aver paura di ricominciare da zero. Sarà sempre un passo in avanti, un passo che ti avvicina al racconto o al romanzo che volevi scrivere. Fìdati.
Giorgio Fontana
Mai preoccuparsi delle potenzialità commerciali di un progetto. Sono faccende che riguardano agenti e editori.
(Geoff Dyer)
Una delle poche certezze che ho: cercare di scrivere a tavolino un romanzo “che venda” è la strada migliore per scrivere un romanzo terrificante. Al di là dei vaghi pronostici non vi sono mai garanzie sulla riuscita commerciale di un libro, e la cosa non dovrebbe affatto angustiarvi: preoccupatevi innanzitutto della vostra soddisfazione, del piacere che dà lavorare al progetto, dell’importanza che riveste per voi. Non si tratta di fare le anime belle: tutti vogliono essere pubblicati e avere una qualche forma di successo; ma, per quanto naturale, non dovrebbe mai essere questo a guidarvi durante la stesura — dovrebbe essere unicamente il bene del testo in sé. Tutto il resto, che siano cinque o centomila lettori, viene dopo: e se non credete né a me né a Dyer, potete credere a Virginia Woolf: “Finché scrivete ciò che volete scrivere, questa è la sola cosa che conta; e se conti per un giorno o per un’eternità, nessuno può dirlo”.